Gratis, fino alla morte.
RobinHood ha cambiato per sempre il modo di investire, mescolando emancipazione e dipendenza, rivoluzione e inganno.
Quando Alexander Kearns ha aperto l’app di Robinhood, non aveva idea che sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe fatto.
Ma aspetta, facciamo un passo indietro.
Siamo nel 2013, quando due brillanti ingegneri di Wall Street, Vladimir Tenev e Baiju Bhatt, decidono di cambiare le regole del gioco.
Dopo anni passati a costruire piattaforme per il “trading ad alta frequenza” (High-frequency trading), si spostano dalla giungla delle istituzioni finanziarie al sogno californiano: rendere il trading accessibile a tutti.
Robinhood nasce con una promessa semplice e potente: “democratizzare la finanza”.
Zero commissioni, un’interfaccia semplice stile TikTok, e un messaggio chiaro: anche tu puoi essere un trader.
Ma la realtà è ben diversa.
Robinhood guadagna miliardi vendendo gli ordini degli utenti ai market maker, un modello opaco e controverso noto come payment for order flow.
Gli utenti credono di operare gratis, ma pagano in altro modo: comprano al prezzo più alto e vendono al prezzo più basso alimentando la volatilità e diventando merce.
E la piattaforma, disegnata per sembrare un gioco, amplifica tutto: notifiche, animazioni, incentivi, bonus quando compri un'azione.
Una UX costruita ad hoc per creare dipendenza.
Ma non finisce qui, anzi.
Durante la pandemia, l’app esplode: milioni di utenti, molti alle prime armi, iniziano a fare trading compulsivo.
Robinhood non frena. Anzi, accelera.
E qui torniamo al ragazzo che ha aperto la nostra storia di oggi.
Nel 2020, Alexander Kearns (in foto), 20 anni, si ritrova improvvisamente con un saldo negativo di oltre 700.000 dollari dopo aver effettuato svariate operazioni di trading di opzioni.
Scrive una lettera, accusa Robinhood di avergli concesso troppo potere. RobinHood non risponde.
Il debito è troppo elevato. Alexander non resiste. Si toglie la vita.
RobinHood tira dritto. Quella morte non ferma l’ascesa.
La piattaforma di trading cresce, raccoglie miliardi, si quota in borsa nel 2021.
Aggiunge servizi aggiuntivi: cripto, etf, carte di credito, newsletter, piattaforme europee.
Acquisisce startup e redazioni giornalistiche, reinventa la sua immagine. Vuole ripulirsi.
Nel frattempo, però, piovono multe, denunce, accuse di manipolazione, bug catastrofici, data breach, e licenziamenti a ripetizione.
Nel marzo 2020, l’app va in blackout proprio durante il più grande rally di Wall Street dal 2009 (Gamestop).
A giugno dello stesso anno, la FINRA le infligge una multa record da 70 milioni di dollari.
Nel frattempo, utenti inesperti perdono risparmi e fiducia. Il prezzo dell’IPO precipita.
Robinhood risponde con un rebranding, lancia Sherwood News, si espande nel Regno Unito e nell’Unione Europea, cerca di posizionarsi come una multipiattaforma: broker, banca, media company, tech.
Oggi, Robinhood non è più (solo) una startup.
È un simbolo. Di un’epoca in cui l’ideologia della democratizzazione della finanza ha coperto l’assenza di protezione.
In cui “user-friendly” è più vicina allo “user-fragile”. In cui un’interfaccia irresistibile vale più della trasparenza. Dove la morte di un giovane trader è meno rilevante del profitto che ne deriva.
Quindi, alla fine di questa storia, resta solo una semplice domanda da porci:
se il prodotto è gratis, con cosa sto davvero pagando?
Grazie per essere passato di qui.
Un abbraccio,
Builded.
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